Quarto giorno del nuovo anno, e il blog torna ad essere attivo dopo quasi due mesi durante i quali è successo di tutto. Sono cambiata io, sono mutati gli scenari davanti ai quali mi trovo ogni giorno, alcuni equilibri professionali e personali soprattutto sono stati destrutturati.
Non ho mai amato i bilanci di fine anno. Ecco il motivo del titolo del post, che sarà invece dedicato alle cinque piccole lezioni che mi hanno lasciato 12 mesi ai quali ho chiesto tanto. Ovviamente si tratta di lezioni professionali, perché per scrivere di quelle personali dovrei avere a disposizione un libro!
- Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco: l’entusiasmo è sempre sctato fondamentale per il mio orizzonte professionale. Troppo spesso, però, mi sono ritrovata a gridarlo senza avere nulla di concreto in mano. Nel 2017 questo è valso soprattutto per collaborazioni di vario tipo che, pur senza riscontri forti, mi hanno portato a pensare di aver finalmente trovato il modo di delegare o di intraprendere un percorso professionale assieme a persone a me affini come visione.
- Non sempre è la razionalità a guidare le scelte professionali delle persone: di questo sono sempre stata in qualche modo consapevole, dal momento che ho cercato, in ogni momento, di dare spazio anche al cuore, alla voce della pancia che mi diceva che quel determinato progetto era giusto o che era il caso di abbandonare un percorso. Nel 2017 appena terminato ho toccato con mano il lato negativo della situazione, rendendomi conto che molte persone tendono a compiere errori in ambito professionale, passando sopra a qualsiasi interesse o prospettiva altrui, senza rendersi minimamente conto di quanto questo sia un’arma a doppio taglio per la loro reputazione.
- Il controllo è un veleno: l’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle, almeno per me, è stato caratterizzato da una ricerca spasmodica del controllo su ogni elemento dell’universo professionale. Iniziato con un calo forte di fatturato, ha visto un’esplosione in positivo della situazione dopo l’estate. Nel contempo, si sono affacciati dei problemi personali che mi hanno portato a considerare il lavoro come una vera e propria strategia per scacciare i pensieri. Il controllo è diventato quindi un veleno. Al primo errore – non piccolo – sono caduta e ho sentito dolore. Il mio edificio perfetto, costruito anche sull’onda della fatica degli anni passati, era caduto. Cambiare prospettiva da questo punto di vista mi ha aperto la mente. Dopo anni di ricerca ossessiva della perfezione e dell’efficienza – anche con l’obiettivo di non creare ulteriori difficoltà a un bilancio familiare positivo ma esposto a rischi – ho imparato che l’errore fa parte della vita, che è sano, che fa crescere, che è un messaggio fondamentale anche per il benessere del corpo.
- La mancanza di filtri è una delle mie migliori doti: faccio fatica a indossare maschere. Conoscermi, sia personalmente sia professionamente, significa avere a che fare con una persona che palesa tutto ciò che sente, dal disagio, all’affetto, all’entusiasmo. Nei 12 mesi da poco passati, per la prima volta, ho partecipato a riunioni con il cliente finale, respirando, anche solo per poche ore, l’atmosfera da azienda. Senza l’ansia di dover trovare il filtro giusto per affrontare una situazione così nuova, sono riuscita a viverla nel migliore dei modi, mettendo in secondo piano la mia insicurezza.
- La carta ha ancora il suo perché: leggo dal Kindle, prendo appunti con Evernote e da quest’anno ho un’agenda cartacea. Niente di impegnativo, una semplicissima agenda acquistata da Tiger durante la corsa regali. Suonerà strano, ma mi sono accorta che fissare gli impegni sulla carta mi dà sicurezza, mi aiuta a rendermi conto che, in un susseguirsi di giornate che a volte si trascinano e altre sono all’insegna degli imprevisti, qualcosa di certo c’è.
Queste sono le semplici lezioni che mi ha lasciato un anno ricco di sfaccettature, che non dimenticherò facilmente e che sì, posso definire come un vero e proprio punto di svolta per quanto riguarda la professione.
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