Questo post nasce nella mia testa ieri, grazie a poche righe lette per caso su LinkedIn. La persona che le ha scritte, entrata da poco nella lista dei miei contatti, mi ha dato l’autorizzazione a pubblicare lo screenshot completo.
Si tratta di una sfida senza dubbio interessante, che mi ha toccato personalmente in quanto credo molto nell’importanza di dire la verità sulla vita del freelance e, soprattutto, su quelle che sono le difficoltà che si incontrano all’inizio del percorso.
Posso ovviamente parlare soprattutto sulla base della mia esperienza e affermare che, fin da subito, è venuta a galla la necessità di un investimento emotivo. Cosa significa? Tenere conto del fatto che iniziare a lavorare come libero professionista significa sacrificare inizialmente tempo e spensieratezza.
Sì, si può ribattere a quanto ho appena detto affermando che se c’è passione anche i sacrifici più grandi appaiono meno gravosi. Questo è vero, ma è bene osservare la situazione senza perdere di vista la realtà e le sue sfaccettature.
Il rapporto con il lavoro da freelance, che si presuppone abbia alle spalle una forte passione e una vigorosa motivazione, è un po’ come quello con il partner. Sfido chiunque, anche chi vive rapporti pluriennali appaganti, a dire “Io e Tizia/Tizio siamo sempre stati felici e non abbiamo mai vissuto momenti in cui faceva capolino la difficoltà nel sopportarsi a vicenda”.
Questo è un dato di fatto anche nel lavoro, soprattutto quando si parla di libera professione e delle fasi iniziali. Come mi sono mossa io? Selezionando. Ho fatto una scrematura tra coloro che si sono dimostrati in grado di capire le mie rinunce – che hanno toccato per forza di cose anche altre persone oltre alla sottoscritta – e chi, invece, non è riuscito ad accettare la cosa.
Una verità a mio avviso fondamentale da raccontare quando si parla della vita dei freelance e dei loro inizi professionali è proprio questa: i primi passi possono essere difficoltosi non solo perché i clienti languono e per la mancanza di entrate fisse, ma anche per la necessità, in alcuni casi, di doversi scontrare con l’incompresione altrui.
Si scherza molto su questo aspetto, si parla di nonne e mamme che, quando conversano con le amiche, alla domanda “Che lavoro fa tuo figlio/a?” rispondono con “Fa cose con il computer”. Questa è una delle facce più divertenti della medaglia. È una visione simpatica del digital divide tra generazioni, che però ha dietro molto altro. Cosa di preciso? Situazioni che, senza dubbio, non sono così piacevoli da raccontare.
Si tratta di momenti in cui si fanno strada il senso di colpa per il tempo non dedicato alle persone care – sì, succede anche quando hai poco più di vent’anni e non hai una famiglia tua – e la frustrazione per non riuscire a far capire quanto un determinato percorso professionale è importante per te.
Se dovessi raccontare dal vivo i miei inizi al ragazzo che ha postato su LinkedIn le righe che hanno ispirato questo post mi focalizzerei proprio su questo: sull’investimento emotivo, sull’importanza di prepararsi anche ai peggiori momenti dal punto di vista personale.
È anche grazie allo sprone che danno se si riesce a costruire un equilibrio quasi perfetto tra lavoro, ambizioni e vita privata.
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