Di istinto non amo i bilanci. Sono una persona che ascolta molto la pancia e so che farli significa guardare in faccia le situazioni in cui avrei dovuto mettere un po’ più di testa.
Il 2018 è stato però un anno molto particolare. Sulla scia del cugino pari che lo ha preceduto – il 2016 che mi ha vista per la prima volta nelle condizioni di poter dire dei “no” professionali sapendo che comunque sarei riuscita a far quadrare i conti a fine mese – mi ha completamente rivoltata.
Per questo, con qualche giorno di ritardo (voluto) sulla tabella di marcia, mi accingo a mettere nero su bianco le principali lezioni professionali che mi ha lasciato (che poi sono anche lezioni personali dato che tendo a far correre parallelamente i due ambiti e a portare molto dei miei valori nel lavoro).
L’emotività non è una malattia
L‘emotività potente mi accompagna da tanti anni. Mi ha tolto tanto in passato, spingendomi per esempio a chiudere le porte al rapporto con il pianoforte.
Quest’anno ho deciso di non respingerla e questo mi ha permesso di vivere con serenità un passo che mi mancava, ossia il rapporto costante con i briefing e l’interazione diretta con imprenditori che di web sanno poco o nulla.
Ho fatto mio uno dei principali ostacoli che ho incontrato da adolescente e nei primi anni della vita adulta e l’ho trasformato in un punto di forza, rendendomi conto che diventare perfettamente spigliata avrebbe voluto dire rinnegare parte di ciò che sono.
La memoria non è la mia migliore amica
Il 2018 è stato l’anno che mi ha viste definitivamente dire addio al rapporto di fiducia cieca nei confronti della mia memoria. La sua oggettiva efficienza mi ha portata per anni a “camminare sui carboni ardenti” non appuntando su carta – o su pixel – nessun impegno. Con l’anno di allontanamento definitivo dai 20 anni le cose sono cambiate e sì, anche nella mia vita è arrivato Google Calendar.
Le questioni di principio fanno venire l’orticaria
Da buona donna di pancia, negli anni passati mi sono scornata più volte per quelle che, a mio avviso, erano delle questioni di principio. Se dovessi elencarle tutte, dovrei scrivere almeno 5 post e parlare del nervoso per la gestione discutibile dei collaboratori da parte di un ex cliente, ma anche della bile che saliva quando – sempre ex clienti – mi contattavano su WhatsApp a ore improbabili.
Con il celebre senno del poi, ho imparato che le suddette questioni di principio sono edifici mentali miei. Ho capito che battere i piedi non serve e che tutto dipende dalle mie decisioni personali, dalla mia scelta di mettere dei paletti tra il privato e il lavoro.
Il lavoro non è una medicina
Il 2018 è stato un anno stimolante ma anche molto difficile. Sono passata sopra a questioni che, fino a qualche anno fa, mi avrebbero vista spostare mari e monti. Non si tratta di arrendevolezza ma di istinto di sopravvivenz e di fiducia nel karma.
Mi sono letteralmente buttata sul lavoro come su un’ancora nel mare in tempesta, alla disperata ricerca di un’isola che non sfuggisse al mio controllo. Questo mi ha portato ad aumentare il fatturato e ad aprire nuove collaborazioni importanti, ma non senza prezzo. Per la prima volta ho infatti toccato con mano i danni fisici che può portare lo stress, con ripercussioni anche sul portafoglio.
e i buoni propositi?
Sì, ci sono anche loro. Dal punto di vista professionale questa voce è incentrata soprattutto su un aspetto: maggiore organizzazione. Confido molto non solo nel rapporto più sereno con Google Calendar, ma anche nelle ben due agende che mi sono state regalate a Natale e che sono già piene di scadenze relative a un progetto speciale che vedrà la luce a maggio!
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